Ricorso ex art. 127 della Costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, e' domiciliato per legge; Contro la Regione autonoma della Sardegna, in persona del Presidente in carica, con sede in Cagliari, viale Trento n. 69; Per la declaratoria della illegittimita' costituzionale della legge della Regione autonoma della Sardegna del 6 marzo 2020, n. 6, pubblicata nel B.U.R. n. 9 del 9 marzo 2020, recante «Norme in materia di contratti di formazione specialistica aggiuntivi regionali», giusta deliberazione del Consiglio dei ministri assunta nella seduta del giorno 29 aprile 2020, quanto: all'art. 4, comma 1, lettera a) per contrasto con l'art. 3 della Costituzione; all'art. 5, comma 1, lettera c) per contrasto con gli articoli 2, 3 e 41 della Costituzione. In data 9 marzo 2020, nel n. 9 del Bollettino Ufficiale della Regione Autonoma della Sardegna, e' pubblicata la legge regionale 6 marzo 2020, n. 6, recante «Norme in materia di contratti di formazione specialistica aggiuntivi regionali». La legge consta di nove articoli: l'art. 1, rubricato «Finalita'»; l'art. 2, rubricato «Oggetto»; l'art. 3, rubricato «Contratti di formazione specialistica aggiuntivi regionali»; l'art. 4, rubricato «Requisiti per l'accesso ai contratti aggiuntivi regionali»; l'art. 5, rubricato «Obblighi dei medici»; l'art. 6, rubricato «Inadempimenti agli obblighi dei medici assegnatari di contratti aggiuntivi regionali»; i successivi articoli 7, 8 e 9 dedicati rispettivamente alle disposizioni transitorie e finali, alle disposizioni relative alla copertura finanziaria ed all'entrata in vigore della legge. Con tale legge, come previsto tra le sue finalita', «la Regione garantisce ai professionisti sanitari di area medica l'accesso ad adeguati percorsi di formazione, di didattica, di assistenza e ricerca, favorendo la loro permanenza nelle strutture e negli enti del Servizio sanitario regionale» (art. 1, comma 1). Inoltre, con la legge in esame, come previsto nel suo oggetto, «la Regione promuove interventi a sostegno della formazione in ambito sanitario, con particolare riferimento alla formazione specialistica dei medici» (art. 2, comma 1), al fine di garantire «la copertura continuativa dei fabbisogni professionali del servizio sanitario regionale» (art. 2, comma 2). Alle predette finalita' la regione finanzia contratti di formazione specialistica aggiuntivi rispetto a quelli statali, per l'appunto denominati dalla legge stessa contratti aggiuntivi regionali, per incentivare la formazione specialistica dei medici e favorirne la permanenza nelle strutture sanitarie del Servizio sanitario regionale (art. 3, comma 1). Cio' premesso, le disposizioni che si denunciano esulano dalle competenze attribuite alla regione dallo Statuto speciale (legge costituzionale n. 3 del 1948) e contrastano coni principi di ragionevolezza, di uguaglianza e di autodeterminazione, in violazione degli articoli 2, 3 e 41 della Costituzione. Gli articoli 4, comma 1, lettera a) e 5, comma 1, lettera c) della legge regionale vengono dunque impugnati con il presente ricorso ex art. 127 della Costituzione affinche' ne sia dichiarata l'illegittimita' costituzionale e ne sia pronunciato il conseguente annullamento per i seguenti Motivi I I) L'art. 4, comma 1, lettera a) della legge regionale 6 marzo 2020, n. 6 e' illegittimo per contrasto con l'art. 3 della Costituzione. L'art. 4 della legge regionale - come esposto, rubricato «requisiti per l'accesso ai contratti aggiuntivi regionali» - stabilisce, al comma 1, che possono accedere ai contratti aggiuntivi regionali i medici abilitati all'esercizio della professione utilmente collocati nella graduatoria nazionale di cui all'art. 36, comma 1, lettera d) del decreto legislativo n. 368 del 1999, in possesso dei seguenti requisiti: a) siano stati residenti in Sardegna per almeno dieci anni, anche non continuativi, nel ventennio precedente alla data di scadenza della presentazione delle domande di partecipazione al concorso di ammissione alla scuola di specializzazione; b) non abbiano gia' beneficiato di altri contratti finanziati dalla stessa Regione Il requisito sub lettera a) della residenza nella regione per almeno dieci anni, anche non continuativi, richiesto ai medici ai fini dell'ammissione alla specializzazione, si pone in contrasto con l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della ragionevolezza. Il principio di ragionevolezza, identificabile «nell'esigenza di conformita' dell'ordinamento a valori di giustizia e di equita' e a criteri di coerenza logica, teleologica e storico-cronologica» (Corte Costituzionale n. 162 del 2014, n. 87 del 2012 e n. 421 del 1991), e' insito nel principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. Ora, il requisito cosi' imposto dalla disposizione censurata per accedere ai contratti aggiuntivi regionali, nel limitare considerevolmente la platea degli aspiranti medici specializzandi, non appare giustificato da una ragionevole correlazione tra la prestazione di formazione specialistica erogata dalla regione, che la legge medesima si propone di incentivare, e la condizione cui la stessa e' subordinata. Codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha piu' volte avuto occasione di pronunciarsi sul requisito della residenza c.d. prolungata o protratta, allorquando sia stata prevista da alcune leggi regionali ai fini dell'attribuzione di varie provvidenze o servizi sociali e cosi' ai fini dell'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Nonostante diverso sia l'ambito della legge in esame, dai pronunciamenti di Codesta Ecc.ma Corte sono, tuttavia, chiaramente evincibili affermazioni di principio volte a delimitare la costituzionalita' di una siffatta condizione per l'accesso alle prestazioni pubbliche in generale. Si richiama da ultimo la sentenza n. 44 del 9 marzo 2020, relativa al requisito della residenza protratta (li' per un periodo di almeno cinque anni) ai fini dell'accesso al beneficio dell'alloggio ERP. In tale sentenza viene ribadito, nel richiamo a precedenti decisioni, che mentre il requisito della «residenza tout court» serve a identificare l'ente pubblico competente a erogare una certa prestazione ed e' un requisito che ciascun soggetto puo' soddisfare in ogni momento, quello della «residenza protratta» integra una condizione che puo' precludere in concreto ad un determinato soggetto l'accesso alle prestazioni pubbliche sia nella regione di attuale residenza sia in quella di provenienza (nella quale non e' piu' residente), con la conseguenza che le norme che introducono tale requisito vanno vagliate con particolare attenzione (cosi', la decisione citata anche nel richiamo alla precedente sentenza n. 107 del 2018). Si afferma ancora nella sentenza n. 44 del 2020 che «i criteri adottati dal legislatore per la selezione dei beneficiari dei servizi sociali devono presentare un collegamento con la funzione del servizio (ex plurimis, sentenze n. 166 e n. 107 del 2018, n. 168 del 2014, n. 172 e n. 133 del 2013 e n. 40 del 2011). Il giudizio sulla sussistenza e sull'adeguatezza di tale collegamento - fra finalita' del servizio da erogare e caratteristiche soggettive richieste ai suoi potenziali beneficiari - e' operato da questa Corte secondo la struttura tipica del sindacato svolto ai sensi dell'art. 3, primo comma della Costituzione, che muove dall'identificazione della ratio della norma di riferimento e passa poi alla verifica della coerenza con tale ratio del filtro selettivo introdotto. Nel caso in esame, l'esito di tale verifica conduce a conclusioni di irragionevolezza del requisito della residenza ultraquinquennale previsto dalla norma censurata come condizione di accesso al beneficio dell'alloggio ERP. Se infatti non vi e' dubbio che la ratio del servizio e' il soddisfacimento del bisogno abitativo, e' agevole constatare che la condizione di previa residenza protratta dei suoi destinatari non presenta con esso alcuna ragionevole connessione (sentenze n. 166 del 2018 e n. 168 del 2014). Parallelamente, l'esclusione di coloro che non soddisfano il requisito della previa residenza quinquennale nella regione determina conseguenze incoerenti con quella stessa funzione.» Anche volendo considerare che con la legge in esame la regione si propone altresi' di favorire ai medici la permanenza nelle strutture del Servizio sanitario regionale (art. 1, comma 1 e art. 3, comma 1), deve precisarsi che codesta Ecc.ma Corte ha, inoltre, affermato che «La previa residenza ultraquinquennale non e' di per se' indice di un'elevata probabilita' di permanenza in un determinato ambito territoriale, mentre a tali fini risulterebbero ben piu' significativi altri elementi sui quali si puo' ragionevolmente fondare una prognosi di stanzialita'. In altri termini, la rilevanza conferita a una condizione del passato, quale e' la residenza nei cinque anni precedenti, non sarebbe comunque oggettivamente idonea a evitare il «rischio di instabilita'» del beneficiario dell'alloggio di edilizia residenziale pubblica, obiettivo che dovrebbe invece essere perseguito avendo riguardo agli indici di probabilita' di permanenza per il futuro.» Nella legge regionale in esame, seppure la residenza richiesta quale condizione di accesso ai contratti aggiuntivi regionali per la formazione specialistica non deve necessariamente essere continuativa ma puo' essere calcolata nell'ambito di un ventennio, la sua durata minima prevista e' decennale e si somma a quella che il medico dovra' conservare per il periodo di formazione. E', infatti, previsto tra gli obblighi del medico assegnatario di un contratto aggiuntivo regionale, disposti dall'art. 5 della stessa legge, quello di svolgere la propria attivita' professionale di formazione specialistica, per tutta la durata del contratto, presso le sedi individuate dalla regione stessa e dalle universita' e dagli enti convenzionati come stabilito negli appositi protocolli di intesa annuali (art. 5, comma 1, lettera b)). A cio' si aggiunga che il beneficiario sara' poi vincolato al territorio regionale per un ulteriore quinquennio, considerato che il medico specializzato e' tenuto a prestare la propria attivita' lavorativa per cinque anni dal conseguimento del diploma di specializzazione nelle strutture e negli enti del servizio sanitario regionale ovvero presso le universita' degli studi della Sardegna (cosi', in forza dell'obbligo previsto dall' art. 5, comma 1, lettera c), il cui inadempimento, ai sensi del successivo art. 6, comporta la restituzione del 50 per cento di quanto percepito durante l'attivita' di formazione). Pertanto, dinanzi alla espressa finalita' della legge regionale di sostenere e di incentivare la formazione specialistica dei professionisti sanitari di area medica, mentre ben si comprendono le misure atte a favorire la permanenza in Sardegna dei medici specializzati con contratti aggiuntivi finanziati dalla stessa regione, le limitazioni in fase d'accesso alla formazione contrastano con il principio di ragionevolezza nel presupposto di un requisito del radicamento sul territorio sproporzionato per durata e troppo esclusivo. Giova al riguardo altresi' richiamare i principi affermati dalla Corte di giustizia dell'Unione europea in relazione ai requisiti di residenza prolungata per l'accesso a prestazioni erogate dagli Stati membri, come pure ricordati nella sentenza n. 107 del 2018 di codesta Corte costituzionale. Nella decisione da ultimo menzionata, infatti, e' ricordato che «La Corte di giustizia non esclude a priori l'ammissibilita' di requisiti di residenza per l'accesso a prestazioni erogate dagli Stati membri, ma richiede che la norma persegua uno scopo legittimo, che sia proporzionata e che il criterio adottato non sia «troppo esclusivo», potendo sussistere altri elementi rivelatori del «nesso reale» tra il richiedente e lo Stato (cosi', nel riferimento alla sentenza 21 luglio 2011, in causa C.503/09, S. punti 92 e 95 e 24 ottobre 2013, in causa C-220/12 T.M., punto 36), precisandosi altresi' che il fatto che la condizione della residenza prolungata discrimini anche cittadini italiani non e' rilevante ai fini della conformita' al diritto europeo (sempre in Corte Costituzionale n. 107 del 2018 nel riferimento a Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenze T.M., punto 27; 16 gennaio 2003, in causa C-388/01, Commissione, punto 14; 6 giugno 2000, in causa C-281/98, A., punto 41). La disposizione denunciata viola l'art. 3 della Costituzione anche in relazione al collegamento di tale principio costituzionale con il precetto di cui all'art. 120, primo comma, della Costituzione circa il divieto delle regioni di adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione tra le persone. Seppure la norma denunciata, non incidendo in modo immediato sul diritto di circolazione, non violi direttamente il divieto posto dall'art. 120 della Costituzione, essa pone tuttavia un ostacolo all'esercizio del diritto ivi previsto e ne costituisce un irragionevole limite, anche solo in via di fatto. Con la gia' citata sentenza n. 107 del 2018, codesta Ecc.ma Corte, definita la portata del divieto fissato all'art. 120, primo comma, della Costituzione, ha precisato occorra verificare se la limitazione prevista dalla norma impugnata sia costituzionalmente tollerabile, stante che il divieto stesso non va inteso in modo assoluto, dovendosi invece «vagliare la ragionevolezza delle leggi regionali che limitano i diritti con esso garantiti». A tal fine, nel richiamo a proprio precedente sulla libera circolazione delle cose (sentenza n. 51 del 1991), codesta Ecc.ma Corte individua i seguenti criteri di esame: a) se si sia in presenza di un valore costituzionale in relazione al quale possano essere posti limiti alla libera circolazione; b) se, nell'ambito del suddetto potere di limitazione, la regione possegga una competenza che la legittimi a stabilire una disciplina differenziata a tutela di interessi costituzionalmente affidati alla sua cura; c) se il provvedimento adottato in attuazione del valore suindicato e nell'esercizio della predetta competenza sia stato emanato nel rispetto dei requisiti di legge e abbia un contenuto dispositivo ragionevolmente commisurato al raggiungimento delle finalita' giustificative dell'intervento limitativo della regione, cosi' da non costituire in concreto un ostacolo arbitrario alla libera circolazione fra regione e regione (in termini C. Cost. sentenza n. 107 del 2018 cit.). Ebbene, ai fini della declaratoria di incostituzionalita' della disposizione qui denunciata, deve ritenersi che la norma regionale sul requisito della residenza prolungata (decennale) ai fini dell'accesso alla formazione medica specialistica, quanto al primo dei criteri individuati dal codesta Ecc.ma Corte, non persegue un interesse pubblico meritevole, mirando solo a limitare l'accesso alle persone radicate al territorio della regione da lungo tempo; quanto al secondo criterio, esula dalle competenze legislative attribuite alla regione dallo Statuto speciale, in quanto disposizione di carattere esclusivo ed escludente ai fini dell'accesso alla formazione professionale; quanto al terzo criterio, infine, la durata richiesta della residenza non puo' considerarsi proporzionata all'obiettivo di garantire un legame tra il richiedente e la regione, cioe', come espresso dalla legge, per favorirne la permanenza nelle strutture del Servizio sanitario regionale. La disposizione in esame, pertanto, e' anche sotto tale profilo irragionevole e arbitraria, in violazione dell'art. 3 della Costituzione. II II) L'art. 5, comma 1, lettera c) della legge regionale 6 marzo 2020, n. 6 e' illegittimo per contrasto con gli articoli 2, 3 e 41 della Costituzione. L'art. 5, al comma 1, lettera c), - rubricato, come esposto: «obblighi dei medici» - prevede che il medico assegnatario di un contratto aggiuntivo regionale: «c) si impegna a prestare la propria attivita' lavorativa per cinque anni dal conseguimento del diploma di specializzazione nelle strutture e negli enti del SSR ovvero presso le universita' degli studi della Sardegna». L'inadempimento a tale obbligo comporta, ai sensi del successivo art. 6, che questi restituisca il 50 per cento di quanto percepito durante l'attivita' di formazione, al netto delle imposte e dei contributi previdenziali e assistenziali. §. Premesso che non e' in questione la competenza regionale o statale a determinare il contenuto del contratto di formazione specialistica (la cui definizione viene effettuata ai sensi dell'art. 37, comma 2, del decreto legislativo n. 368 del 1999 con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, e il cui contenuto, nel rispetto dello schema tipo nazionale, puo' essere arricchito da specifiche disposizioni regionali ai sensi dell'art. 7, comma 1, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 luglio 2007), l'art. 5, comma 1, lettera c), obbligando il medico beneficiario del contratto aggiuntivo regionale, una volta specializzato nella regione, alla prestazione della propria attivita' lavorativa nello stesso territorio regionale nelle strutture e negli enti del SSR ovvero presso le universita' degli studi regionali per cinque anni dal conseguimento del diploma, gli impone, di fatto, scelte di carattere strettamente personale, in contrasto con i principi costituzionali in materia di autodeterminazione e in violazione degli articoli 2 e 41 della Costituzione. Il vincolo di accesso al mondo lavorativo che la disposizione pone al medico specializzato gia' beneficiario del contratto aggiuntivo regionale, sia sotto il profilo territoriale e temporale che della tipologia stessa del rapporto di lavoro, di fatto ostacola la esplicazione della sua personalita' anche professionale e gli inibisce di autodeterminarsi liberamente in ambito lavorativo e nell'iniziativa economica privata. §§. La previsione in parola, inoltre e nella prospettiva dei soggetti non beneficiari del contratto aggiuntivo regionale di formazione specialistica, rischia di risolversi in una ingiustificata discriminazione a loro danno, configurandosi solo per i beneficiari, se non altro in via di fatto, come canale privilegiato di occupazione presso le strutture del SSR e delle universita' regionali, in violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. Sotto tale ultima prospettiva, anche la disposizione denunciata viola l'art. 3 della Costituzione in relazione al collegamento di tale principio costituzionale con il precetto di cui all'art. 120, primo comma, della Costituzione, qui segnatamente circa il divieto delle regioni di limitare l'esercizio del diritto del lavoro in qualunque parte del territorio nazionale. Si ribadisce, infatti, che l'art. 5, comma 1, lettera c) pone comunque un ostacolo all'esercizio del diritto del lavoro in qualunque parte del territorio nazionale previsto dall'art. 120, comma 1 della Costituzione e ne costituisce un irragionevole limite, anche solo in via di fatto. La disposizione in esame, pertanto, e' anche sotto tale profilo arbitraria e viola l'art. 3 della Costituzione.